granepadane
SE SBAGLIO MI CORRIGERETE: In Padania senza paracadute, le avventure di una celta sperduta..
Sunday, March 30, 2008
Thursday, March 27, 2008
Monday, March 24, 2008
La Gru
Elegante, longilinea,
Si ferma un istante.
Permette di studiare
I suoi colori tenui,
Le forme di solito in
Movimento. Ecco la gru
A sfidare la stagione.
L’inverno non è il posto
Per costruire un nido.
E poi via e via e
Via, ancora via a
Costruire nidi dove
Una volta gli uccelli
Descrivevano ruote nel
Cielo, dove di notte si
Vedeva ancora una
Via Lattea a occhio
Nudo, ora oscurata.
La vita cacciata via
O cacciata col fucile.
E ora rimane solo
L’elegante, longilinea
Gru a costruire nidi
Giù nel nuovo cantiere.
Si ferma un istante.
Permette di studiare
I suoi colori tenui,
Le forme di solito in
Movimento. Ecco la gru
A sfidare la stagione.
L’inverno non è il posto
Per costruire un nido.
E poi via e via e
Via, ancora via a
Costruire nidi dove
Una volta gli uccelli
Descrivevano ruote nel
Cielo, dove di notte si
Vedeva ancora una
Via Lattea a occhio
Nudo, ora oscurata.
La vita cacciata via
O cacciata col fucile.
E ora rimane solo
L’elegante, longilinea
Gru a costruire nidi
Giù nel nuovo cantiere.
Wednesday, March 19, 2008
Poets!
Segnalo per poeti e amanti della poesia, Milano e dintorni:
ANTICIPAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA
Microfoni aperti
La Casa della Poesia apre le porte a tutti i poeti noti e ignoti, italiani e stranieri, che volessero leggere i propri testi.
Con Tomaso Kemeny, Giancarlo Majorino e molti altri.
La casa della poesia a Milano, Palazzina Liberty di L.go Marinai 1.
17.30/ 18 in poi....
Ci vediamo lì?
Tuesday, March 18, 2008
Troy Davis
Chi avesse voglia può firmare qui la petizione per la sospensione dell'esecuzione di Troy Davis negli USA, condannato nonostante non sia mai stata provata oltre ogni ragionevole dubbio la sua colpevolezza. Ho già scritto di lui più o meno un anno fa.
Inglese gratis a Milano
Faccio un po' di pubblicità per un amico che gestisce formazione didattica, sapendo di fare sia un favore a lui che al pubblico, dato che è una persona molto seria:
Inglese gratis per bambini a Milano
- per bimbi di anni 5/6 e 9/10
Dove: Via Fabio Filzi 1, 3° piano (TeacherTraining)
Quando: 9 sabati dal 29 marzo al 7 giugno (escluse festività e ponti)
Orario: 9.30-10.30 oppure 10.40-11.40
Posti: 8 posti per bimbi 5/6 anni, 10 per bimbi 9/10 anni
Perché???? Le lezioni saranno tenute da insegnanti di madrelingua inglese che studiano presso TeacherTraining per ottenere il diploma di specializzazione dell'Università di Cambridge per l'insegnamento della lingua inglese a bambini.
INFO: Scrivete a Morgan Cox: info@... oppurechiamatelo direttamente: 328 8873365
Monday, March 17, 2008
Incubo italiano
Da La Repubblica:
CRONACA
Oggi la caserma non è più quella di allora: cancellati i "luoghi della vergogna" Manganellate, minacce, umiliazioni: tutto ricostruito al processo da più di 300 testimoni
Le violenze impunitedel lager Bolzaneto
di GIUSEPPE D'AVANZO
C'ERA anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva". Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.
Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.
Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.
Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).
Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.
Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947, all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà"
La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna", modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".
Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.
Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo).
A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".
Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.
È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola". Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in punta di piedi.
Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza.
A. D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi. Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi".
A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.
Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.
In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni.
P. B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.
Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta. L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".
Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e spinto".
Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.
A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde: "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.
Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".
Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un'osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.
Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia alla coerenza"?
Friday, March 14, 2008
Zolfo (3)
Oggi ho visto come nascono gli incidenti sul lavoro.
Mentre buttavo la roba del teatro nel furgone, accanto c'era un prof che mostrava a dei ragazzi del IT come usare una sega circolare, facendola provare anche a loro. Un prof, una sega circolare, sei ragazzi. Zero occhiali protettivi, zero guanti.
Ecco dove nasce la cultura del menefreghismo, dell'irresponsabilità, del tanto non capiterà mai né a me, né causerò incidenti a terzi.
Complimenti.
Poesia e Musica (2)
Le poesie degli altri poeti sono davvero belle, le mie non commento, e la locandina è davvero strepitosa.
Tuesday, March 11, 2008
Poesia e Musica
Domenica 16 marzo, ore 21 Cerro di Laveno
TOURNEE BAR PRESENTA:
Nella mia natura - poesia in musica
Matteo Carassini (voce e chitarra acustica) Giovanni Bruno (fisarmonica)
Luca Chiarei, Gaetano Blaiotta, Giovanni Ardemagni, Jane Bowie, Karin Anderson, Marcello Castellano, Marco Bin, Rita Clivio, Sara Pennacchio, Silvano Lista
TRENINCORSA & I POETS
Monday, March 10, 2008
Zolfo (2)
E così i datori di lavoro ritengono che siano troppo forti e ingiuste le sanzioni contro di loro nel caso di decessi o infortuni per mancanza di rispetto delle regole della sicurezza.
Forti e ingiuste, non lo so, ma inutili, sì. Totalmente. In inglese c’è il detto: lock the stable door after the horse has bolted: chiudere la porta della stalla dopo che il cavallo è scappato.
Non è il taglio sulla testa di chi non ha permesso o obbligato al lavoratore le misure di sicurezza che cambierà le cose. Non è nemmeno il casco in testa, anche se questo aiuterebbe. Quello che ci vuole è un cambiamento dentro la testa.
Non conosco le leggi sulla sicurezza, ma in questo paese che tanto ama legiferare su ogni sfera della vita pubblica e privata dubito che mancano. Mancano però gli strumenti di controllo e la prevenzione, e ancora più fondamentale, manca il senso che rispettare le norme sia una cosa “normale”.
Finché si tratta di chiedere ai lavoratori regolarmente assunti di osservare i loro diritti-doveri nel campo della sicurezza con mezzi a loro disposizione (cioè mettiti il casco e non lasciarlo appeso al chiodo) credo che sia lecito chiedere questo sforzo di civiltà. Ma come fare quando si tratta di un lavoratore a giornata o a settimana, in nero, in un posto di lavoro abusivo e non in regola? Oltre alle vittime che cadono sul posto di lavoro dobbiamo anche chiedere a questi vulnerabilissimi esseri di sacrificarsi insieme alle loro famiglie?
Come chiedere a loro di fare denuncia se l’aria per parlare li manca, se il respiro non ce l’hanno, avendo la gola stretta da un lato dalla mano di una classe politica fine in se stessa e dall’altro da una criminalità organizzata idem? (E se guardate bene spesso le mani libere dalle due parti di stanno stringendo dietro alla schiena del nostro lavoratore che annaspa…)
Forti e ingiuste, non lo so, ma inutili, sì. Totalmente. In inglese c’è il detto: lock the stable door after the horse has bolted: chiudere la porta della stalla dopo che il cavallo è scappato.
Non è il taglio sulla testa di chi non ha permesso o obbligato al lavoratore le misure di sicurezza che cambierà le cose. Non è nemmeno il casco in testa, anche se questo aiuterebbe. Quello che ci vuole è un cambiamento dentro la testa.
Non conosco le leggi sulla sicurezza, ma in questo paese che tanto ama legiferare su ogni sfera della vita pubblica e privata dubito che mancano. Mancano però gli strumenti di controllo e la prevenzione, e ancora più fondamentale, manca il senso che rispettare le norme sia una cosa “normale”.
Finché si tratta di chiedere ai lavoratori regolarmente assunti di osservare i loro diritti-doveri nel campo della sicurezza con mezzi a loro disposizione (cioè mettiti il casco e non lasciarlo appeso al chiodo) credo che sia lecito chiedere questo sforzo di civiltà. Ma come fare quando si tratta di un lavoratore a giornata o a settimana, in nero, in un posto di lavoro abusivo e non in regola? Oltre alle vittime che cadono sul posto di lavoro dobbiamo anche chiedere a questi vulnerabilissimi esseri di sacrificarsi insieme alle loro famiglie?
Come chiedere a loro di fare denuncia se l’aria per parlare li manca, se il respiro non ce l’hanno, avendo la gola stretta da un lato dalla mano di una classe politica fine in se stessa e dall’altro da una criminalità organizzata idem? (E se guardate bene spesso le mani libere dalle due parti di stanno stringendo dietro alla schiena del nostro lavoratore che annaspa…)