Di giorno studia, lavora facendo qualsiasi cosa, ride, organizza feste. Legge tantissimo, qualsiasi cosa. Non riesce a capacitarsi della quantità di informazioni e materiali stampati disponibili. E’ ancora più meravigliato per le parole che abbondano che per le scatole che cascano dagli scaffali nei supermercati per quante sono. Mangia, divora libri, giornali, riviste. Esaurisce gli occhi, già miopi, in una continua orgia di ingurgito di fatti, opinioni, commenti, contestazioni, polemiche.
Di notte dorme a tratti. Sogna. Sogna la macchina che si ferma sotto casa. Sogna i piedi pesanti sulla scala. Sogna i pugni alla porta. Sogna la gabbia, la trappola, il tradimento. Si sveglia in apnea, ansimando per trovare il respiro che gli manca. Sudato, tremando, si alza nella sua camera che non ha nemmeno la finestra, e se ne va in cucina a bere dell’acqua. Qualche volta lo trovo lì nel buio, seduto da solo davanti al bicchiere vuoto.
Di giorno ride e scherza con la sua ragazza scozzese. Le fa i complimenti davanti a tutti. “Avete visto che capelli biondi la mia Helen? Come il sole! Avete visto che occhi azzurri la mia Helen? Come il cielo d’estate..” La prende in braccio e accenna qualche passo di una danza che non si capisce se scozzese o polacca, ma si capisce del popolo, della gioia, della libertà.
Di notte lo trovo seduto nel buio a pensare agli occhi polacchi. Gli occhi di sua madre che gli abbottona il capotto, che gli racconta la fiaba tramandata dai nonni e i bisnonni. Gli occhi del babbo che gli spiega che lì fuori ci sta il mondo intero.. lì fuori.. gli occhi dei compagni, ora infiammati , ballando tra le scintille. E ora impauriti, di nuovo i bambini che erano così poco tempo fa, quando sembrava loro di essersi persi nei boschi. Il panico. Arrivano! Arrivano! Scappa! Occhi dolci che gli parlavano la sua lingua, occhi della stessa gente, la sua gente, occhi che rispecchiavano i suoi. Occhi che ora non vede nemmeno in fotografia, se n’è andato troppo di fretta.
Di giorno prova ogni cosa, fa ogni cosa. Ha il mondo intero da scoprire e sperimentare, ha una mente semmai troppo stanca, ma dei sensi che urlano a farsi un bagno nel colore, nei profumi, nella velocità, nel rumore, in qualsiasi cosa che non sia il grigio, le viuzze anguste e nere di notte, l’odore della paura. Mangio ridendo la zuppa di mele e noccioline che prepara, lo aiuto a lavare i vetri vittoriani non lavati da mezzo secolo, riattivando tutto un sistema di leve e corde vecchio un secolo, gli racconto barzellette per il suo inglese a tonnellate mentre svuotiamo bottiglie di vodka polacca. Tutto fa brodo. Tutto fa vita. Un delizioso, delirante walzer di tutto.
Di notte sente la fame atavica nella pancia, anche se l’aveva riempita, e bene, poche ore fa. Sogna l’arrosto, le verdure fresche, il pane fragrante, come se non li vedesse da anni, come se non li avesse mai visti. Sogna il trascinarsi di giorni e giorni che era la sua vita fino al momento di buttarsi nel movimento studentesco, dopodiché è diventato un sussulto dopo l’altro. Di notte lo trovo in cucina con la testa tra le mani, gli accarezzo la testa. Ci beviamo una vodka o un whisky.
Facciamo passare la notte finché non arriverà il giorno, Helen, il giornale, il pane, la zuppa di arance e cannella.
Il dimenticare.
Ma la mente è un setaccio, e tutto ciò che dimentichiamo di notte si insinua, come una poltiglia, attraverso i buchi, e avvolge i sogni nel suo grigio, insistente, orrore.