Le Nostre Notti
Basato sulle parole di Primo Levi, Le Nostre Notti è un breve (40 minuti) spettacolo centrato sulla figura di un tormentato e logorato prigioniero di Auschwitz che alterna momenti lucidi con momenti di sogno-incubo angoscianti, la sua voce che si mescola con un sottofondo di treno, fischio, altre voce, la sua voce... Una figura invecchiata, debole, che tossisce di continuo.
L'introduzione, la breve fase penultima e la recitazione dell'ultima parte di "Se Questo è un uomo" sono fatte da una figura femminile piuttosto spettrale illuminata dietro a una rete recintaria che cade a pezzi, uscendo raramente dal suo spazio angusto e confinato. Una recitazione che deve essere ritmata e controllata, che lascia spazio alle parole senza drammatizzarle in maniera condiscendente ed esplicativa. Solo due brevi uscite di rabbia e incazzatura.
Nonostante abbia provato diverse volte le scene, quando parte la musica da sottofondo, mi sento sempre bloccare la gola, e ho grossi problemi a tenere ferma e controllata la voce e il corpo. Quando poi alla fine il protagonista (bravissimo) comincia a recitare "Considerate se questo è un uomo", tutte le volte vengo percossa di brividi fortissimi e mi manca il respiro.
Quando entro con "Considerate se questa è una donna" mi sento sulle spalle una responsabilità immensa, per tutte le donne, mi sento sulle spalle milioni di mani leggere, pesanti, bianche, rovinate dal lavoro, ancora paffute, macchiate dall'età, che mi chiedono di recitare per loro. Sento l'abbandono del mio corpo alle parole e mi sento strumento e passaggio. Non so dove vado durante quei momenti ma non ci sono più.
Non credo di avere le parole per spiegare in fondo cosa provo facendo quel pezzo.
L'introduzione, la breve fase penultima e la recitazione dell'ultima parte di "Se Questo è un uomo" sono fatte da una figura femminile piuttosto spettrale illuminata dietro a una rete recintaria che cade a pezzi, uscendo raramente dal suo spazio angusto e confinato. Una recitazione che deve essere ritmata e controllata, che lascia spazio alle parole senza drammatizzarle in maniera condiscendente ed esplicativa. Solo due brevi uscite di rabbia e incazzatura.
Nonostante abbia provato diverse volte le scene, quando parte la musica da sottofondo, mi sento sempre bloccare la gola, e ho grossi problemi a tenere ferma e controllata la voce e il corpo. Quando poi alla fine il protagonista (bravissimo) comincia a recitare "Considerate se questo è un uomo", tutte le volte vengo percossa di brividi fortissimi e mi manca il respiro.
Quando entro con "Considerate se questa è una donna" mi sento sulle spalle una responsabilità immensa, per tutte le donne, mi sento sulle spalle milioni di mani leggere, pesanti, bianche, rovinate dal lavoro, ancora paffute, macchiate dall'età, che mi chiedono di recitare per loro. Sento l'abbandono del mio corpo alle parole e mi sento strumento e passaggio. Non so dove vado durante quei momenti ma non ci sono più.
Non credo di avere le parole per spiegare in fondo cosa provo facendo quel pezzo.
8 Comments:
bello
e terribile
Effe: l'hai detto tu.
Infatti le parole mancano, faltan, come si dice in spagna.
Tu però, amica mia, non sei altro che un donna (scusate se è poco) che impersona l dolore, il freddo, l'assenza...vuoto il grembo / come una rana d'inverno...
so che sei forte abbastanza pr questo.
SISI... ci siamo viste due volte: una a Milano quando Enzo era ancora vivo e una in sicilia...
ma è bastato, di tutte le donne che conosco (e ne conosco di femminucce notevoli( tu sei l'unica che ce la può fare, Jane.
Anzi, sai che c'è di nuovo?
Di fronte allo sterminio ho sempre detto a me stessa: nessuno mai un doman potrà mai dire di me che sono stata complice silenziosa dell' orrore.
Solo,io non so recitare, allora, da adesso in poi impersoni anche me-
Ti voglio bene
simona
ps
questo commento lo pubblico su criacuervos...posso???
E' meravigliosa la tua capacità di esprimere con parole il pathos che si trova in certe situazioni. A volte penso all'orrore infinito di quelle scene, delle centinaia, migliaia, di scene di massacri che fanno parte della storia dell'uomo e mi domando in che modo sia possibile sopportare il peso di quelle immagini che si affollano alla mente.
Un modo è cancellarle, far finta di dimenticarle come se non fossero mai successe, ma non funziona: i fantasmi esistono veramente e mentre chiedono giustizia ci avvertono anche di non dimenticare, che non possiamo dimenticare.
Allora non resta che farsi testimoni muti, far rivivere dentro di noi lo sgomento che si prova di fronte alla capacità umana di fare violenza ai deboli e diventare noi stessi parte di quegli spettri che urlano con dignità e ricordano, ricordano, ricordano ai vivi e soprattutto a chi ha la vita ancora davanti che l'Uomo è, deve essere, altra cosa da questa violenza.
Che il suo futuro è diverso, se futuro deve esserci.
E' così che ti immagino mentre reciti quella parte, ed è così che mi sentirei se dovessi recitarla io: un testimone nei confronti degli spettatori.
La riflessione sul tuo ruolo di attrice è splendida, e mi domando quante volte venga fatta dai tuoi colleghi.
Non so se sia l'unico modo possibile, ma sono sicuro che in questa maniera il messaggio che vuoi trasmettere arriva agli spettatori, e questa è la cosa che veramente conta.
Simona: le tue parole mi fanno arrossire, è un onore recitare anche per conto di una donna come te che in maniera così intensa ha sempre vissuto e pensato.
Certo che per me puoi pubblicare il commento!
Ti voglio bene!
Angelo: prima dello spettacolo, mio amico-collega legge spesso una testimonianza di un soldato russo di 19 anni che era tra i primi a entrare nel campo di Auschwitz. Questo ragazzo descrive quello che vede, quello che ha provato (si è lavato la divisa quella notte, unica volta durante la guerra), finisce dicendo: a chi cerca di negare l'Olocausto, dico: credete a me, che ho cercato tanto di dimenticarlo.
Penso che il mestiere del palco e della costruzione di un personaggio è un passaggio da un stra-coscenza di sé a un non-coscenza di sè. Sono necessari tutte e due le fasi, e non facili. Spesso un attore se la cava bene con la prima, con la ricerca e la riproduzione di geniali trovate, ma quando le supera e le assorbe senza più esserne coscente, si capisce la differenza.
Qualche giorno fa sentivo un grande attore (Albertazzi, mi pare, che spiegava la differenza tra un attore vero e uno che vuole soltanto sembrarlo: l'attore vero vive i suoi personaggi, l'altro li recita soltanto.
Cara Jane
riuscire a partecipare emotivamente a quello che fai e non solo riprodurre meccanicamente, un testo una musica o una coreografia è il primo passo fondamentale per essere un artista e non un mero esecutore!
Baci
Zepol
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